Gente. Tanta gente. Troppa gente. Affrettata, stressata,
frustrata, confusa. Distratta. Tutti corrono, tutti vanno. Non importa dove
vadano, l’importante è andare. Corrono al lavoro, a prendere i figli a scuola,
dal parrucchiere. Un lavoro che non piace, dei figli che non conoscono, un
parrucchiere dal quale devono andare, perché se no. Se no? Frenesia pazzesca di
vita che mi impedisce di vivere. Corsa folle di un’esistenza che si è
dimenticata di esistere. Di essere. Preoccupata che il grattacielo sia abbastanza
alto, ignorando che la sua altezza copre il cielo. Non respiro.
Cammino
osservando la corrente intorno a me: mi mette ansia, mi preoccupa, mi spaventa.
Mi trascina in un circolo di pensieri che non riesco a
gestire, perché non ne sono in grado, dal momento che una parte di me ancora è
umana. Faccio uno sforzo per rimanerne fuori e, a fatica, ci riesco. Mi
tranquillizzo recuperando a poco a poco il mio passo , recuperando a poco a poco
il mio ossigeno, mentre mi aggrappo ai pensieri felici; mi aggrappo alle
persone e rimango di qua, insieme a chi ci crede. A chi, come me, non vive, ma
almeno ne è consapevole e ha la speranza, l’impegno, il progetto e il sogno di
tornare a farlo prima o poi e io inizio a illudermi che sia possibile.
Respiro.
Vengo urtata da un gomito scomodo che teme di arrivare in
ritardo all’appuntamento con la non vita. Mi riporta alla realtà dalla quale
cerco di uscire. Mi riporta nel caos di chi non crede, perché non sa più come
si fa. Avere qualcosa in cui credere. Averlo e battersi per questo.
Rincorrerlo. Usare le proprie energie per un sogno. Credere che c’è dell’altro.
Credere che cambiare il punto di vista è possibile. Credere che un cielo è più
grande di un grattacielo. Non respiro.
La musica mi aiuta: mi carica, mi regala energie che il mondo
mi toglie; mi regala speranza che persone mi tolgono. Penso al mio progetto
mentre riordino la mia testa, i miei pensieri, le mie persone, i miei
obbiettivi, le cose che voglio cambiare, le cose che non voglio perdere. Butto
fuori la complessità, l’ignoranza e la stupidità avvolgendomi in un’atmosfera
armonica di semplicità e inizio a pensare che sia possibile.
Respiro.
Un clacson suona di fianco a me. Un altro lo segue. Un
finestrino scende e degli insulti salgono. Code si formano e freni stridono.
Non so dove mettere i piedi. Non voglio intralciare, non voglio mischiarmi, non
voglio sporcarmi. Cambio strada. Una mamma sgrida il bambino che è caduto, un
cane legato fuori dal negozio ulula il suo disappunto, un uomo in giacca e
cravatta scocciato cerca di superare una signora sovrappeso che occupa gran
parte del marciapiede. Non respiro.
Scorgo
un vecchietto seduto su una sedia fuori dal bar. Osserva quel che accade
intorno a lui. Forse aspetta qualcosa? Me lo chiedo, ma immediatamente mi rispondo
che no, non aspetta nulla. Se, sbagliando, voleva aspettare qualcosa, avrebbe
già dovuto farlo perchè ora non ha più tempo per aspettare; ora tira le somme,
ricorda, rimpiange o si complimenta dei successi.
Si
riposa.
Siede
su una sedia e riposa.
Mi
siedo vicino a lui e cerco di rubargli un po’ di calma. Mi impegno per farmi
invadere dalla sua tranquillità, dalla sua serenità di uomo arrivato, di uomo
che non deve più correre, che non vuole più correre e inizio a credere che sia
possibile.
Respiro.
Sono
qui, seduta. Io aspetto qualcosa: aspetto il cambiamento. Che arrivi nel mio
privato e che cambi le persone intorno a me, loro e il mio modo di vederle; le
persone più intime e quelle che non conosco, ma che sono prepotentemente
protagoniste nella mia vita. Aspetto di crescere, di maturare. Di capire.
Aspetto
il cambiamento. Che arrivi nel pubblico: in questa Italia che dovremmo fare noi
e che non facciamo, oppure ci proviamo senza convinzione o ci proviamo da soli;
oppure ci rinunciamo.
Poi
mi accorgo che non è il mio tempo di aspettare; il mio tempo arriverà e allora
anche io, lo so, mi siederò su quella sedia. A tirare le somme e a ricordare.
Ma adesso non posso perché devo uscire e devo cambiare le cose. Lo devo fare
ora e lo devo dire agli altri. Tutti le devono cambiare.
Io decido di iniziare da me e credo che sia possibile.
Ama il prossimo tuo come te stesso.
Se non amo me, non riesco ad amare te. O se ti amo come amo
me, non ti amerei come meriti.
E il mio cambiamento inizia da qua.
Respiro.
Semprebelloleggerti
RispondiEliminaSemprebelloleggereancheituoicommenti!
RispondiEliminaGrazie davvero! E non c'è bisogno che scriva il nome questa volta..sono fiera di te!! Ahaha!
Ricordati che da me il divano è sempre libero e nella prossima casa avrai una stanza tutta tua...!! Un Bacio! Nonna
RispondiEliminaAhah, ti ho dato l'impressione di essere stressata nonna...? ahahaha! Grazie mille, nonna, lo so...!
EliminaBello lele, molto bello!è cosa buona e giusta attuare i cambiamenti!grazie x qst perle.. eheh, io sono sempre più convinta che non abiterò mai in una grossa città! Fuori c'è molta più aria x respirare e molto più cielo x fortuna! ma di tutto.. le relazioni sono la cosa che resta. un bacio mega! ;)
RispondiEliminaQueste sì che sono parole da lupetto! Brava Laura!! ;)
Eliminadici con le parole cose che non sono mai riuscita ad esprimere. per lo meno, mai in modo così fluido, diretto e coerente. grazie di scrivere così bene, grazie di scrivere quello che vorremmo dire ma non sappiamo come. come quando ascolti una meravigliosa canzone che esprime tutto quello che volevi dire e pensi "volevo dire esattamente questo, ma non ci sarei mai riuscita così bene!"
RispondiEliminaTi presto volentieri le mie parole, basta che dici che siano mie...! Ahahah! :P Grazie Pina, grazie di questo commento, ma grazie soprattutto dell'affetto con cui lo scrivi, dell'affetto con cui ti sei comprata il libro e dell'affetto con cui mi appoggi..!
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