domenica 13 gennaio 2019

Quando la vita va come non deve.


Perché ci arrabbiamo se la vita non va come deve andare?

Noi facciamo sempre ciò che dobbiamo?

E non è forse questo un po’ del suo bello. Non tutto certo, e non solo. Dico un po’.

Fare ciò che non si deve fare, non ha portato, a volte, grandi cose? Fatto vivere quanto meno delle sorprese.

Emozionato.

Fare qualcosa per una voglia di pazzia, anziché per dovere. Un pizzico di follia una volta tanto. O forse per amore, anche se non avremmo certo dovuto.
O perché, semplicemente, era giusto così.

E questo non è bello? Un po’ del bello.
Vogliamo togliere un pezzetto di bello alla vita?
Il suo fare le cose per un momento di follia. O per amore. O perché è giusto.

Alle volte il bello della vita è che va proprio come non deve. Come noi non avevamo pensato che sarebbe andata. E non avremmo mai potuto pensare.

Perché, alle volte, il nostro pensiero non è in grado di raggiungere alcune meraviglie che appartengono solo alla vita.

Quello splendore che solo lei sa regalarci, noi non siamo in grado neanche di pensarlo. A volte neanche di vederlo.

Forse quando impareremo a notare l'inaspettato impareremo anche a ringraziarla perché va dove non deve.

Certo: ogni tanto invece è soltanto un completo e totale disastro. E la vita è andata allo sfacelo.

E non è, forse, come quando noi facciamo qualcosa per stanchezza? O per rabbia. O anche per tristezza.

Non potremmo allora imparare a perdonarla?

A quel punto, magari, sarebbe persino possibile imparare a perdonare anche noi stessi.


martedì 27 febbraio 2018

Non è colpa mia.


Abbiate pazienza, per favore.

Colpe io non ne ho. Anzi. Vi assicuro che non appena sento le avvisaglie corro al riparo, attuo immediatamente il piano di difesa; avviso tutti: vicini, lontani e pure i passanti, perché ormai lo so il danno che può fare. Lui, non io.

Lui. Io no. Non c’entro io. E’ questo che sto cercando di dire: io faccio tutto ciò che posso per limitare la tragedia. Lui no.

Lui si intristisce un pochino, ma neanche tanto all’inizio, infame. Poi si commuove mentre parla del più e del meno. Poi scoppia a piangere quando il più e il meno manco ci sono, quando anzi non c’è proprio niente. Poi si dispera. Poi basta, è inconsolabile.

E il tutto nel giro di un quarto d’ora.

Ve l’assicuro, io c’ero. Io ci sono sempre, ma non posso far altro che fare quel che faccio. Davvero, credetemi. Non mi credete? Non mi state credendo?? Ah ecco… vi conviene… Credetemi… Ancora non…? Ah no, ok, scusatemi… Il fatto è che in questo periodo sono suscettibile. Cioè, veramente no, non è proprio così, io non sono suscettibile da un pezzo ormai, sono cresciuta… E’ lui, è lui che è suscettibile.

All’inizio parla, sì, magari un po’ meno del solito, ma comunque ci prova; so bene che ci sono argomenti dal quale lo devo tenere lontano e lo faccio, assolutamente, non sono mica matta io. Riesco a farlo imbarcare in conversazioni che so essere sotto controllo, eppure sempre accade che a un certo punto non dice più nulla. Zitto. Ammutolito. Io neanche ho fatto in tempo ad accorgermi che cosa sia successo. Noto però che la persona che abbiamo davanti ha avuto la pessima idea di dire qualcosa che io non penso, una cosa che mi sento di non condividere. Ma perché lo fa? E’ rimbambita forse… Sì, è l’unica spiegazione… Altrimenti non gli sarebbe mai venuto in mente di contraddirmi in questi giorni. Ma ormai è fatta. E quindi il mutismo di lui prima diventa normale disappunto; dopo poco solamente disappunto e infine è vistoso disappunto. Magari fosse rimasto “solo” vistoso: in questo momento urla  qualcosa e ci accompagna anche dei gesticolamenti folli.

Lui è folle. Non io eh. Lui. Vi conviene credermi. Per favore, credetemi, per favore. Non aggiungete questo pensiero a quelli che lui già ha in testa. Lui non riesce a gestirli.

Un piccolo pensiero si fa affiancare velocemente da altri mille pensieri che iniziano a rotolare, rotolare, andando a scontrarsi con un unico grande pensiero che rovinosamente si muove, urtando l’equilibrio, costruito con immensa fatica e consapevolezza da me, frutto di sforzi e sacrifici fatti durante gli anni. Crollato. Tutto l’equilibrio crollato interamente sopra di me. Che mi manca l’aria. Per respirare un pochino prendo decisioni sbagliate; la vista mi si è appannata, devo tornare a vedere al più presto, sono spaventata; lui sta davanti a me e mi toglie tutta la luce, posso procedere solo a tentoni, alla cieca.

E certo che allora sbaglierò.

Ma non evitatemi per questo, statemi vicino.

Non troppo eh. Assolutamente. Sì, ma neanche troppo lontano. Alla giusta distanza. Che non esiste, lo so bene eh, non è che non lo so. A qualsiasi distanza siate mi arrabbierò, sappiatelo anche voi. Ma non sarò io eh. Sarà lui.

Questo deve essere chiaro a tutti.

Che poi una soluzione c’è.

Se non sta attento a tirare troppo la corda, la soluzione la troverà sempre.

Circondarci di quelle due o tre persone, amiche non persone, e neanche amiche qualsiasi in realtà; che con pazienza infinita continuino ad amarmi qualsiasi cosa io dica; mi trattino con tenerezza, qualsiasi cosa lui commetta.

Come soltanto loro hanno imparato a fare.

E perché no? Se possibile uscire con un meraviglioso super eroe che con super coraggio non si lasci spaventare e con super tranquillità gli lanci addosso una ragnatela e lo butti lontano, rimanendo da solo con me.

E io prometto che quando lui non se ne sarà andato mi farò perdonare di tutto.

Non è colpa mia. E’ sua, è il premestruo. Non mi credete? Non mi… ? Vado a prendere Mag va, che è meglio per tutti.


Per tutti voi. 


domenica 28 maggio 2017

La locanda.

Vediamo se con un’immagine ti risulta più chiaro: prova a pensare alle persone come a delle locande.

In che senso?

Una locanda accoglie ed ospita ogni giorno tanti visitatori diversi, e per tutti il trattamento è lo stesso. Indipendentemente dal carattere del nuovo arrivato, la locanda gli aprirà la porta, lo accompagnerà nella sua stanza, lo farà sedere in salotto, gli servirà anche pranzo e cena e avrà cura di lui finchè questo non deciderà di andarsene da solo.
Lo stesso trattamento, la stessa cura verrà riservata per un ospite simpatico e per uno antipatico, un ospite chiacchierone e uno più silenzioso, uno sorridente e uno brontolone.
In poche parole la locanda accoglie tutti. E lo fa sempre con gentilezza.

Questo è chiaro, ma ora come si collega la locanda con le persone?

Il principio è uguale. La persona si ritrova alla sua porta ogni giorno tanti ospiti diversi, lì a bussare: emozioni felici o tristi, leggere o preoccupate, spensierate o spaventate; anche in uno stesso giorno, anche nel giro di poche ore. Allo stesso modo della locanda, la persona deve imparare ad accoglierle tutte, farle accomodare in salotto per il tempo che vorranno trascorrere lì. Sia che queste siano emozioni con le quali è piacevole passare un pomeriggio, sia che queste siano emozioni che si preferirebbe non vivere. Ti immagini cosa potrebbe succedere a una locanda se questa decidesse di non aprire la porta e quindi di non accogliere tutti quei visitatori più scomodi, tristi e scorbutici?

Inizio a capire… Questi potrebbero accumularsi tutti quanti lì fuori, pronti a buttare giù le mura e rovinare rumorosamente su ogni cosa che incontrano una volta scardinata la porta.

Sì, è una possibilità. Potrebbero anche, essendo rimasti fuori, coprire tutte le finestre, così che gli ospiti che sono riusciti ad entrare, non vedrebbero più il paesaggio fuori.

Penso di aver chiara la morale di questa storia: è bene aver cura di tutte le proprie emozioni perché, in fin dei conti, sono loro che portano avanti la locanda; essere in grado, in qualche modo, di accoglierle tutte, così che non gli venga in mente di distruggere nulla o oscurare la vita.

Esatto. E tutto questo sempre con gentilezza.
Proprio così, con gentilezza.


sabato 22 ottobre 2016

Trasformazione

Va bene, l’ho capita la questione dell’essere il proprio centro per se stessi, di far dipendere la mia felicità da me e non da altri; mi è piuttosto chiara e la condivido, mi trova d’accordo.

“Mh mmm...”

Ho capito anche perfettamente l’importanza del momento presente, senza voltarmi indietro a rimuginare e senza fissare lo sguardo al futuro facendomi sorprendere dall’agitazione. Sono concentrata sui miei passi di oggi, non quelli di ieri e non quelli di domani.

“Va avanti.”

Mi piace moltissimo quando riesco ad avere uno sguardo diverso sulle cose che mi preoccupano; sento davvero un’ossigenazione nuova, sento davvero che sono cambiata e, con fierezza, mi sento un po’ più in là rispetto all’altro giorno. Quando riesco a salire sulla mia spirale, modificare il mio punto di vista così da accorgermi di dettagli importanti che per forza trasformano il mio pensiero, il mio stato d’animo, il mio atteggiamento. Mi piace da matti essere riuscita a comprendere questo stile di vita e, sì, a farlo mio sempre di più. Mi piace da matti poter dire che ho finalmente capito tutte queste idee che, ad un primo ascolto, mi spaventavano e mi sembravano molto complicate; ma soprattutto mi piace da matti esserci dentro e sentire che hanno determinato il mio cambiamento.

“Eppure? Cosa c’è che non va?”

Eppure c’è che ci sono dei momenti in cui vorrei sdraiarmi in mezzo alla strada, con il mio cuore e la mia testa, uscire dal mio centro, uscire da me così consapevole ora, e farmi prendere in braccio da qualcuno che sappia avvolgermi completamente con il suo abbraccio e, sentendomi cullata e coccolata, avanzare per un po’ non solo e sempre sulle mie gambe.


Fu a quel punto che la voce, con il suo infinito sapere, tacque. E per la prima volta l’amò, prendendola in braccio.


domenica 17 luglio 2016

Ho molto da imparare.

Insegnami l’arte della pazienza, là dove giace l’incomprensione che mi fa rabbia.

Insegnami l’arte della tolleranza, là dove nasce il fastidio di ciò che non condivido.

Insegnami l’arte del dubbio, là dove penso di conoscere tutte le risposte.

Insegnami l’arte del coraggio, là dove tremo e per codardia rimango inerme.

Insegnami l’arte della perseveranza, là dove incontro ostacoli, fatico e vorrei mollare tutto.

Insegnami l’arte dell’umiltà, là dove sbaglio e devo tornare indietro.

Insegnami l’arte del perdono, là dove sono ferita e debole.

Insegnami l’arte della bontà, là dove i cattivi alzano la voce più di me.

Insegnami l’arte della lotta, là dove si trovano le cose in cui credo io.

Insegnami l’arte dell’ascolto, là dove regna il silenzio.

Insegnami l’arte del riposo, là dove la stanchezza mi annebbia la mente e il cuore.

Insegnami l’arte della determinazione, là dove mi aspetta ciò che voglio.

Insegnami l’arte della lealtà, là dove è facile il successo.

Insegnami l’arte della verità, là dove la menzogna è più comoda.

Insegnami l’arte della pace, là dove è ritenuta la mossa più debole.

Insegnami l’arte della comunicazione, là dove ci sono muri.

Insegnami l’arte della tranquillità, là dove vengo provocata.

Insegnami l’arte della preghiera, là dove mi manca la fede.

Insegnami l’arte della fiducia, là dove è stata tradita.

Insegnami l’arte della solitudine, là dove c’è il mio tempo.

Insegnami l’arte del dialogo, là dove mi sento offesa.

Insegnami l’arte del silenzio, là dove le parole feriscono.

Insegnami l’arte della solidarietà, là dove scorgo sofferenza.

Insegnami l’arte dell’attesa, là dove vorrei correre.

Insegnami l’arte della curiosità, là dove regna l’abitudine.

Insegnami l’arte della sofferenza, là dove non voglio togliere l’armatura.

Insegnami l’arte della meditazione, là dove la confusione prende il sopravvento.

Insegnami l’arte del domandare, là dove sono ignorante.

Insegnami l’arte di costruire, là dove non ne ho più voglia.

Insegnami l’arte della quiete, là dove sono facile alla tensione.

Insegnami l’arte dell’amore, là dove sono solo stanca.


E, forse, a quel punto avrò un’idea di cosa sia l’arte della vita.


giovedì 31 dicembre 2015

Buon anno a me!

La signora Brunilde a 87 anni l’altro giorno mi ha detto: “Sa signorina… Con l’anno nuovo voglio cambiare, sì.”

Un po’ di onestà mi fa riconoscere che è vero: questo Natale per le vie illuminate della mia città ho voltato lo sguardo quando si posava su una coppia innamorata.

Mi fa ammettere che mi scivolava una lacrima subito asciugata, ma comunque nata, quando scorgevo un bambino sorridere alla sua mamma.

Io non voglio sentirmi in colpa. Voglio solo essere onesta.

Ed è per questo che oggi, al termine del 2015, il buon anno io lo voglio augurare solo a me.

E allora mi auguro un anno in cui io asciughi ancora le tue lacrime fraterne, ma che siano lacrime di gioia quelle che verranno.

Un anno di anziani che mi ringrazieranno perché avrò fatto bene il mio lavoro.

Un anno nel quale sia scrittrice di un’altra nuova storia.

Mi auguro centinaia di birre il venerdì sera alle 7. Mi auguro di diventare capace di viaggiare. Mi auguro chilometri e chilometri percorsi su quel tandem con una mano che mi tiene in sella e non mi fa cadere mai. Mi auguro di giocare alla cucina per ore interminabili. Di sfidare il traffico dell’autostrada per un’amicizia che porta via tutto lo smog del mio mondo. Mi auguro di leggere libri bellissimi e di guardare film che mi lascino un segno. Mi auguro infinite conversazioni che mi portano via, che mi aprono porte immense di speranza, una sera davanti a una birra. O due birre. Mi auguro serate di twist and shout a ballare solamente. Mi auguro di trovare ogni volta che posso un famigliare pranzo della domenica. Mi auguro di poter scrivere sempre un messaggio quando sono un po’ triste, che so che non verrà mai lasciato senza amore. Mi auguro che del tempo per me sia sempre trovato da chi non ne ha, perché è tempo che fa la mia differenza, che mi rimette in piedi.

E se mi augurerò “solo questo” vorrà dire che ce l’avrò fatta.

E mentre penso queste cose un ragazzo mi ferma per chiedermi di scattargli una foto. Si mette in posa davanti al Duomo baciando la sua ragazza. Osservo la felicità e la fotografo anche. Pure due volte perché se ti vuoi far beffe di me, fallo bene.

Poi però vado via tenendomi il vostro i-phone.

A voi non serve.

Voi avete l’amore.

Buon anno a me quest’anno.


E alla signora Brunilde. Che riesca a non farsi mettere più i piedi in testa da suo figlio. Perché se ancora ha la forza di cambiare a 87 anni, se lo merita.


giovedì 3 dicembre 2015

Tutto sommato mi piace.

Va bene, mi sono riposata. L’ho detto e l’ho fatto. Ne avevo abbastanza. Mi hanno spinto e io sono caduta, non ce l’ho fatta a restare a bordo. 

Fa niente. 

Si può fare, non succede nulla. Si può tutto. O almeno, io posso tutto. Io posso mettermi delle regole. Io posso decidere di rispettarle o meno. Io posso tutto. E così sono scesa. Con un tonfo più che con un tuffo. Una panciata indimenticabile. 

Tornata a galla ho cominciato a nuotare e sono andata dove nessuno toccava e dove solo i più volenterosi potevano seguirmi.

Per un tempo sufficientemente troppo lungo.

E poi sono risalita. Perché io risalgo sempre. E’ più forte di me. Vorrei stare giù, vorrei continuare a nuotare, vorrei rimanere lontano da tutti quelli che non sono abbastanza coraggiosi da nuotare insieme a me, dove non si tocca. Ma poi tanto lo so che giù non ci resto. Poi tanto lo so che su quella barchetta ci voglio risalire.

Perché quella barchetta è la mia. E tutto sommato mi piace.

Mi ospita da ventinove anni ormai. Come può non piacermi? All’inizio non navigava troppo bene, anzi, quasi andava a fondo. Per fortuna è stata un po’ aiutata. Dopo qualche tempo ha imparato ad andare dritta e poi anche a girare. Per un periodo girava solo da una parte e così si muoveva solo in tondo, ma andava bene lo stesso, la fermavo al punto giusto e prendevamo la direzione che volevamo. Certo, poi abbiamo scoperto anche la comodità di girare dall’altra parte. Era più veloce in effetti. C’è da dire che non sempre ci interessa andare veloci. Perché tutto intorno a noi va veloce.

Adesso c’è il mare calmo e posso prendere il sole tranquillamente, insieme a chi è sulla mia barca con me. Subito dopo arriva un temporale e devo immediatamente cercare un riparo, preoccuparmi di salutare chi vuole scendere; piangere chi si è tuffato senza dirmi niente; proteggere chi è voluto rimanere con me. E poi il temporale, così come è arrivato, passa e torna il mare piatto. Ma c’è ancora tanto vento. Allora ho imparato a muovermi con le vele, sfruttando le correnti, aiutandomi con lui ad andare dove volevo io. E quando il vento si è fermato sono stata ferma un pochino anche io. Finché ho capito come si accendesse il motore e allora mi sono mossa. Ancora.

Ho tantissimi comandi nuovi da imparare e devo perfezionare quelli che già conosco.

Di sicuro devo rendere più accoglienti i luoghi dove corro a ripararmi durante le tempeste.

E’ importante che io diventi abile a governare la mia barca. E lo diventerò. Ci sono risalita apposta per questo.

Perché si muove tutto intorno a me. Ogni cosa cambia. Il vento, il mare, la temperatura.

Tutto si muove intorno a me e la gente che prende il sole al mio fianco non è la stessa che cerca riparo quando arriva la pioggia. Qualcuno torna, qualcuno non torna più; qualcuno non se n’è  mai andato, qualche altro non voglio proprio che ci salga sulla mia barca. E se ci prova lo butto giù, sia chiaro. Con tutta la fatica che ho fatto per renderla così.

Questa barchetta è la mia. Tutto sommato mi piace.

Perché quando tutto cambia intorno a me, lei rimane così.

A ricordarmi che una certezza c’è. Nel mio cambiamento.

Nel mio cambiamento, sono io la certezza.