Il 102enne, così lo chiamiamo.
Ha molte rughe; gli occhi quasi faticano
ad aprirsi da quanto sono numerose. Ma non appena ci riescono, il loro colore
azzurro cattura il tuo sguardo e la sua luce sbiadisce in un attimo ogni piega
del viso.
E’ un uomo alto; talmente alto
che è difficile capire come abbiano fatto ad accartocciarlo in modo tale da
farlo stare seduto su quella carrozzina. Eppure è lì, pacifico e sereno, ad
aspettare che qualcuno lo faccia camminare, o che qualcuno lo faccia
chiacchierare un po’.
Oggi arrivo io, mi presento, lo
saluto, gli domando.
“Mi scusi signorina!! Urli un
po’, perché sono sordoo!”
Diventiamo amici in fretta e ancora
più in fretta rimango affascinata dalle sue parole e dal suo racconto. Perché sono
interessanti. E perché vengono pronunciate con una calma e una tranquillità
avvolgente. Che faccio mia; così che le nostre storie possano incontrarsi e
percorrere anche solo un minuscolo tratto di strada insieme. La mia ha tutto da
guadagnarci.
Ha vissuto entrambe le guerre.
Della prima ricorda poco, della seconda non è riuscito a dimenticare nulla.
Si è sposato due volte, ma non ha
avuto figli.
Ha studiato pianoforte e sempre,
per tutti i suoi 102 anni, ha dipinto.
“Con tempere ad olio, matite,
acquerelli, qualsiasi cosa. Mi bastava disegnare!”
Gli mostro allora i nostri materiali,
gli porgo un foglio e lo invito, se ne ha voglia, a dipingere quel che vuole.
Inizia a lavorare, assorto e
concentrato, tanto da creare una bolla di vetro trasparente tra lui e il resto
della stanza. E’ immerso nella sua arte e niente lo può disturbare. Il pennello
si muove con lentezza e con meno precisione di un tempo, ma l’effetto sul
pittore è rimasto immutato. La minuziosa scelta dei colori, le pennellate brevi
e tremolanti fanno di me una spettatrice fortunata.
A disegno terminato gli domando
se di solito attribuisce un nome a ciò che ha creato e dopo una sua risposta
affermativa decide di chiamare l’ultimo: “Paesaggio”.
Sento che per oggi il nostro
pezzettino di strada insieme l’abbiamo compiuto e sta giungendo al termine, ma
non voglio concluderlo in maniera banale e brutale. Codardamente aspetto che
sia lui a fare la prima mossa. 102 anni di esperienza non mi deluderanno. E
infatti non lo fanno. Ma non credevo che sarebbero riusciti addirittura a lasciarmi
senza parole. Almeno non più di quanto abbiano già fatto.
“Signorina, io ora dovrei andare,
può accompagnarmi giù per favore?”
“Certamente! Al 4° piano giusto?”
“No, veramente al piano rialzato”.
Anziana semplicità.
“Come al piano rialzato? Lì sono
ricoverati i pazienti con Alzheimer, lei non ce l’ha. Guardi che si trova al 4°
piano la sua stanza”. Giovane presunzione.
“Sì, la mia stanza si trova al 4°
piano, – mi spiega lui con pazienza- ma mia moglie si trova al piano rialzato.
Mi sono fatto ricoverare in questa struttura per poter stare vicino a lei. Al
mattino vengo qui al 5° piano a fare ginnastica, ma appena finisco mi faccio
portare da lei. Pranziamo insieme e poi stiamo lì. Insieme. Lei a volte mi
riconosce. Magari non sempre. Ma so che ogni volta è contenta che io sia lì. E
io ora vorrei andare a pranzare insieme a mia moglie. Lei mi aspetta.”
Non so cosa dirgli.. Ma in verità
non credo che ci sia nulla da dirgli.. Forse in 102 anni ha già sentito
abbastanza parole inutili.
Prendo allora le maniglie della
sua carrozzina e inizio a spingerlo verso l’ascensore. Mentre l’attendiamo mi
racconta che sua moglie si trova qui già da un po’ di tempo e lui prima veniva
a trovarla tutti i giorni. Oramai però è stanco e non ha più voglia di vivere
da solo. Così ha deciso di entrare qui. Per evitare di fare tutti i giorni,
avanti e indietro, la strada da casa sua alla nuova casa della moglie.
Arriviamo al piano rialzato.
Digito il codice per poter aprire la porta e lui mi dice a che tavolo portarlo.
“Non c’è ancora mia moglie, sarà
in giro. Le piace camminare.. Ah, eccola che arriva”
Una minuta signora dall’aria
spensierata si dirige verso di noi a piccoli passi; arriva dal marito e,
prendendogli la mano, gli dice: “Sei arrivato!”. E poi prende posto vicino a
lui.
Sono seduti uno vicino all’altro.
Entrambi guardano davanti a loro. In silenzio. Ma parlandomi di amore.
la mia commozione è esplosa nel leggere la sua spiegazione.. quanto romanticismo in una vita di 102anni e nel volerla trascorrere fino all'ultimo con la propria compagna.
RispondiEliminaSì, commozione credo proprio che sia una parola giusta.. E pure romanticismo..!
EliminaSemplice e toccante. Di gran lunga di + dell'ultima storia su un centenne (Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve). Mi ha emozionato anche leggerlo (perchè pubblicato, foss'anche casualmente) il 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
RispondiEliminaGià: quell'altra storia del centenne può piacere solo alla zia Gemma..!
EliminaForse l'ho postato il 25 novembre apposta.. forse no.. ;)
Le anime più pure e più pensose sono quelle che amano i colori.
RispondiElimina(I. Ruskin)
Il tuo "vecchietto" di queste cose ne sa!!!brava Lele!!!
Brava, Ele, per la citazione!!
EliminaBella! E davvero azzeccata!
Poesia della vita o vita di poesia? Difficile capirlo!
RispondiEliminaForse entrambe..?
Eliminache teneri.. :) chissà quante ne avranno passate insieme!
RispondiEliminaUna bella storia...anzi no!
RispondiEliminaUna bella scrittura, semplice e scorrevole, che è riuscita nell'intento di trasmettere le sottili sfumature di un episodio essenziale come quello descritto, trasformandolo in una esperienza per il lettore.
Impresa non facile.
Ardua in particolar modo ove ciò che preme descrivere, come in questo precipuo caso, si componga essenzialmente di immagini, suoni e parole non dette.
La penna qui è divenuta conduttore di emozioni e pensieri, così come l'oro lo è di elettricità.
L'occasione, ad ogni modo, mi è gradita per salutarLa con affetto, cara Lele.
Un vecchio amico