Non ha occhi lui.
Non vede dove ti trovi, se sei
insieme ad un paziente o addirittura in un gruppo di pazienti che hanno bisogno
di te in quel momento; se sei nel mezzo di una riunione con colleghi e medici;
se sei da sola in casa senza nessuno vicino a cui poterti aggrappare in quel
momento; se sei fuori con un amico che si spaventerà e si preoccuperà. Anche se
dormi lui arriva. E ti sveglia.
Lui non vede. Ma se anche
vedesse, non gli importerebbe di nulla e arriverebbe ugualmente.
Irromperebbe nello stesso modo
furioso e aggressivo, sradicando le tue certezze e annientando le tue
fondamenta; ribaltando i pensieri della tua testa, affogando quelli più belli,
per sommergerti violentemente coi più brutti. Tutti insieme. Senza ordine. In
primo piano. Tutti, con il loro peso infinito, crollati addosso a te. Loro, che
sei riuscita a controllare razionalmente fino ad ora, con fatica, calma e
pazienza, sconfiggono in un attimo tutta la tua ragione e finalmente sono
liberi di tornare allo scoperto. E con la loro forza, solo momentaneamente
assopita, si prendono tutta l’aria. Senza lasciarne più per te.
Non hai più aria. E te ne accorgi
perché quando ti ricordi di tornare a respirare, non ci riesci. Ci riprovi e
ancora non riesci. Devi continuare a provarci. Non fosse altro che per
sopravvivenza.
Non sei capace di muoverti. Sei
annientata. Puoi solo stare lì. Ad aspettare che torni l’aria. E ad attendere
che tutte le tue paure principali tornino ad essere ragionevoli e, piano piano,
riprendano il loro posto.
È un’attesa spossante. Ed
agghiacciante.
Tuttavia, le lacrime che scorrono
sul tuo viso hanno un qualche cosa di dolce. Fanno tenerezza. Perché quando il
viso non è più in grado di singhiozzare, perché non ha più le forze per farlo,
loro continuano a scendere, senza sforzo apparente. Come se fosse la cosa più
naturale del mondo. Uscire dal tuo occhio ormai vuoto, scivolare leggermente
sulla tua guancia e allontanarsi delicatamente una volta arrivata alla curva
del mento. Così. Come a voler ristabilire un ordine. Come a richiamare il
tempo. Come se volessero riportare un ritmo, così che poi possa seguirlo anche
il tuo cuore. E poi i tuoi polmoni.
Loro sanno come si fa. Solo che
ora non se lo ricordano. Ma se qualcuno glielo mostra, riprenderanno a compiere
quei movimenti e, a poco a poco, torneranno a sembrare normali.
Questo è ciò che rende quelle
lacrime, danzanti sul tuo viso, dolci.
Poi andranno via anche loro. Per
lasciare il posto a un mezzo sorriso. Uno intero, quel corpo distrutto non
riesce a farlo, ma mezzo sì. Perché è sempre lui a iniziare la battaglia, ma è
sempre quel corpo devastato a vincerla. E questo, domani, trasformerà quel
sorriso in intero.
Sapendo che prima o poi lui
tornerà e non avrà alcun riguardo a calpestarla nuovamente, come già ha fatto.
Ma sapendo anche che lei tornerà
sempre a sorridere.
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