Sono giorni di casa questi.
In cui in effetti la mia testa
vuole trovare spazio solo per questo. O meglio: avrebbe voluto trovare spazio
anche per qualcos’altro, ma qualcos’altro non ha voluto trovare spazio per lei.
E quindi rimane la casa.
Sono per cui giorni in cui mi
chiedo cosa sia casa. In cui vengo qui dopo il lavoro, mi guardo intorno, cerco
di trovare una famigliarità negli oggetti che mi circondano. E subito compare
la parola famigliarità. E penso che casa sia dove è la mia famiglia. La mia
famiglia che in quest’ultimo mese, paradossalmente, diventa protagonista. Perché
siamo tutti sulla stessa barca. Lo siamo sempre stati certo, ma forse ora che
non viviamo più insieme lo siamo ancora di più. Noi stiamo capendo che diamine
sta succedendo. O forse noi non lo stiamo capendo. Sta succedendo e basta. Ma siamo
noi. Come sempre. Ma forse più di sempre.
Poi però se penso che associo casa
alla famiglia, il pensiero successivo è che nella mia scelta di andare a vivere
da sola c’è qualcosa di sbagliato.. Casa è dove c’è famiglia, eravamo in sei e
ora sono sola..
Qualcosa, fosse anche solo matematicamente parlando, non torna.
Una definizione che mi viene
spesso alla mente è che casa è dove mi siedo sul divano e divento leggera. La
mia dannata onestà intellettuale mi fa ammettere che la parola “leggera” è una
scelta più poetica che sincera.
Dove mi siedo sul divano e
divento molle.
La sincerità forse doveva
lasciare spazio alla poesia. Ma rende di più l’idea. Mi siedo e..sono a mio
agio. Non devo necessariamente essere composta. Tutto il mio peso deve sentirsi
accolto su questo divano. Senza preoccupazioni. È un’immagine che ho della
casa.
E intanto mi sdraio sull’amaca.
Altre sono le immagini, ma ancora
di più sono le sensazioni. Alcune belle, altre meno belle, alcune si contraddicono
tra loro. Forse anche questo è andare a vivere da soli: un gran casino. Ed essere
in grado di metterlo in ordine. O trovarci dentro un proprio ordine.
Mi alzo al mattino e devo tirare
su io la tapparella della cucina. Non che prima avessi un maggiordomo. Ma su
sei persone non ero certo io la prima ad alzarmi. E trovavo il caffè nella mia
tazza. Era una sorta di buongiorno. Era un bel buongiorno. Ora mi ritrovo a
doverne trovare un altro. Lo troverò, sicuramente, col tempo lo troverò. Ma dopo
26 anni cambiare il buongiorno ha un nonsochè di destabilizzante.
Recentemente ho letto che i
cambiamenti non sono necessariamente un meglio o un peggio. Sono dei
cambiamenti. Stop. Siamo noi, poi, che li dobbiamo per forza connotare. Faccio
mia questa cosa e aspetto a connotare. Prima o poi lo farò, sicuramente, ma ora
lo prendo come cambiamento e vediamo.
Tra tutte le cose che sono in
questo momento - e ne sono tante, alcune sono belle, altre meno belle, alcune
si contraddicono tra loro - tra tutte le cose che sono in questo momento quella
che sono di più è forse curiosa. Sono estremamente curiosa. Di vedere come
andrà avanti. Sono proprio curiosa di saperlo. Diciamo che se ci fossero 10
film da vedere al cinema e mi interessassero tutti, sceglierei di vedere
questo: come andrà avanti questa storia di me che vivo da sola.
Magari, prima o poi, scenderò
dall’amaca e mi siederò sul divano per vedere questo film.