domenica 17 novembre 2013

Sì, anche se questo costa.



Io non ho tante risposte. E soprattutto oggi ne ho una e domani la cambio. E dopodomani torno a quella di oggi. Rivisitandola ovviamente.

Quella mattina, tuttavia, ho avuto un’illuminazione. Ho aspettato a raccontarla. Soprattutto a me. Volevo vedere per quanto tempo sarebbe rimasta. Oggi è ancora qui, nella mia testa, insieme alle due convinzioni che porto con me. E allora forse è arrivato il momento di raccontarmela.

Sono qui, seduta su questa sedia. Tra le mie mani tengo quelle della signora Natalina, gliele muovo con decisa dolcezza per tentare di regalare un po’ di sollievo ai suoi dolori. E intanto, vincendo a poco a poco la sua timidezza, Natalina mi racconta pezzettini della sua storia. A volte si confonde, altre volte mi ripete frasi già dette; in ogni caso mi parla della sua famiglia. Erano undici figli in tutto; scopro che lei era una delle più grandi; sua madre doveva lavorare, allora toccava a lei badare ai fratelli minori, precedendo il tempo nel disegnarsi madre. Eppure quando Natalina mi parla delle sue mani mi dice sempre: “sono mani che hanno lavorato tanto queste”. Io pongo domande stupide alle volte, sono giovane, vivo nel 2013, mi sono fatta un’idea del tempo della guerra certo, ma un’idea è davvero poca cosa per il tempo della guerra. Le chiedo così come facesse a badare ai suoi fratelli e a lavorare allo stesso tempo. Mi racconta dei ritmi serrati delle sue giornate. La sveglia presto, il preparare la colazione, accompagnare i fratelli a scuola, andare in fabbrica e inscatolare farmaci per 8 ore, tornare a casa, preparare da mangiare per la sua famiglia. Dopotutto Natalina a quei tempi aveva già 12 anni. Era anche ora che prendesse in mano la sua vita.

Non so perché questa storia mi tocca più delle altre, chi lavora con gli anziani ascolta storie simili almeno una volta al giorno e questa non è neanche particolarmente toccante.

Insieme a queste storie ne ascolta anche altre: riabilitare persone di 90 anni? Che senso c’è in questo? Sai quanto costa riabilitare una persona di 90 anni? Capita anche che sia io a porre queste domande.

Tuttavia quando guardo la faccia di Natalina, osservo il suo volto saggiamente stanco; leggo tra le rughe del suo viso l’umiltà delle parole che dice; la semplicità della vita che mi racconta. Smuove in me un senso di affetto. Guardando Natalina io vedo una donna di 90 anni che, detto brutalmente, si è fatta in quattro durante la sua vita; che ce l’ha messa tutta per regalare a me un mondo pulito. Un mondo fatto di sacrifici e sforzi, compiuti per amore. Guardando Natalina vedo una donna che ha tutto il diritto di sedersi di fronte a me affinchè io con tutta la decisa dolcezza di cui sono capace possa muovere quelle mani che hanno lavorato tanto.

Sì, anche se questo costa. Sì, anche se lei ha 90 anni.


La mia convinzione oggi è che io non smetterò mai di prendermi cura di voi. Che ce l’avete messa tutta, lavorando e prendendovi cura degli altri. Convincendomi che del buono c’è in questo mondo. Voi l’avete creato. E io, prendendomene cura, cerco di proteggerlo ringraziandolo.


mercoledì 30 ottobre 2013

Casa? Casa.



Sono giorni di casa questi.

In cui in effetti la mia testa vuole trovare spazio solo per questo. O meglio: avrebbe voluto trovare spazio anche per qualcos’altro, ma qualcos’altro non ha voluto trovare spazio per lei. E quindi rimane la casa.

Sono per cui giorni in cui mi chiedo cosa sia casa. In cui vengo qui dopo il lavoro, mi guardo intorno, cerco di trovare una famigliarità negli oggetti che mi circondano. E subito compare la parola famigliarità. E penso che casa sia dove è la mia famiglia. La mia famiglia che in quest’ultimo mese, paradossalmente, diventa protagonista. Perché siamo tutti sulla stessa barca. Lo siamo sempre stati certo, ma forse ora che non viviamo più insieme lo siamo ancora di più. Noi stiamo capendo che diamine sta succedendo. O forse noi non lo stiamo capendo. Sta succedendo e basta. Ma siamo noi. Come sempre. Ma forse più di sempre.

Poi però se penso che associo casa alla famiglia, il pensiero successivo è che nella mia scelta di andare a vivere da sola c’è qualcosa di sbagliato.. Casa è dove c’è famiglia, eravamo in sei e ora sono sola.. 

Qualcosa, fosse anche solo matematicamente parlando, non torna.

Una definizione che mi viene spesso alla mente è che casa è dove mi siedo sul divano e divento leggera. La mia dannata onestà intellettuale mi fa ammettere che la parola “leggera” è una scelta più poetica che sincera.

Dove mi siedo sul divano e divento molle.

La sincerità forse doveva lasciare spazio alla poesia. Ma rende di più l’idea. Mi siedo e..sono a mio agio. Non devo necessariamente essere composta. Tutto il mio peso deve sentirsi accolto su questo divano. Senza preoccupazioni. È un’immagine che ho della casa.

E intanto mi sdraio sull’amaca.

Altre sono le immagini, ma ancora di più sono le sensazioni. Alcune belle, altre meno belle, alcune si contraddicono tra loro. Forse anche questo è andare a vivere da soli: un gran casino. Ed essere in grado di metterlo in ordine. O trovarci dentro un proprio ordine.

Mi alzo al mattino e devo tirare su io la tapparella della cucina. Non che prima avessi un maggiordomo. Ma su sei persone non ero certo io la prima ad alzarmi. E trovavo il caffè nella mia tazza. Era una sorta di buongiorno. Era un bel buongiorno. Ora mi ritrovo a doverne trovare un altro. Lo troverò, sicuramente, col tempo lo troverò. Ma dopo 26 anni cambiare il buongiorno ha un nonsochè di destabilizzante.

Recentemente ho letto che i cambiamenti non sono necessariamente un meglio o un peggio. Sono dei cambiamenti. Stop. Siamo noi, poi, che li dobbiamo per forza connotare. Faccio mia questa cosa e aspetto a connotare. Prima o poi lo farò, sicuramente, ma ora lo prendo come cambiamento e vediamo.

Tra tutte le cose che sono in questo momento - e ne sono tante, alcune sono belle, altre meno belle, alcune si contraddicono tra loro - tra tutte le cose che sono in questo momento quella che sono di più è forse curiosa. Sono estremamente curiosa. Di vedere come andrà avanti. Sono proprio curiosa di saperlo. Diciamo che se ci fossero 10 film da vedere al cinema e mi interessassero tutti, sceglierei di vedere questo: come andrà avanti questa storia di me che vivo da sola.


Magari, prima o poi, scenderò dall’amaca e mi siederò sul divano per vedere questo film.