lunedì 10 settembre 2012

Solo la forza di un ventenne e la speranza di arrivare a casa..




“Mia madre non riusciva più a stare in piedi.”

È strano sentirlo parlare di sua madre. Lui ha 90 anni; non è facile pensare che sia esistita una madre e che lui non sia nato così, novantenne. Che sia stato giovane e addirittura piccolo. Con una mamma e un papà. Una mamma e un papà che per anni non hanno avuto più notizie di lui; per anni, tutti i giorni, in ogni momento. A chiedersi se loro figlio fosse vivo. O se fosse morto.

“Sono stati tre mesi di terrore. Puro terrore.”

Forse è anche per questo che fatico a pensarlo giovane. Porta così tante storie sulle spalle che magari queste l’hanno invecchiato prima del tempo.

Ha altre due lauree oltre a quella del Conservatorio che gli ha insegnato l’arte del violino e del pianoforte, trasmettendogli uno sconfinato amore per la musica. Dipinge, è appassionato di storia e di cultura in generale. E ha fatto la guerra.

“ Non ci si poteva muovere in gruppo perché era pericoloso. Non ci si poteva muovere di giorno perché era pericoloso.”

Alle volte entra e suona un po’ il piano, regalandoci un tranquillo sottofondo; altre entra e mi prende bonariamente in giro, facendomi ridere quando sono umanamente calma, seccandomi quando sono stupidamente di corsa. Ci sono dei giorni in cui passa e osserva gli altri signori che lavorano, altri giorni in cui prende un mazzo di carte e mi spiega dei giochi con queste.
Oggi entra e mi racconta la sua storia come non me l’ha mai raccontata prima.

“Io ero a Grosseto quando ci fu il Proclama Badoglio dell’8 settembre. Ci hanno dato l’ordine di tornare alle nostre case. Di punto in bianco. Mollare tutto e tornare a casa. Io dovevo risalire tutta l’Italia fino a Vicenza. Abbiamo sotterrato le armi in una buca e abbiamo cambiato i vestiti in vestiti civili. Da quel preciso momento i tedeschi erano nostri nemici e se ne incontravi uno per strada ti ammazzava.”

Seduto su quella carrozzina con il pigiama azzurro e un maglione, anche se siamo ad agosto, mi confida queste cose compiendo delle pause, pensieroso, raccontando tutti i dettagli, dando la certezza che il suo matrimonio felice e decenni di musica, non sono riusciti a rimuovere le cicatrici scolpite nella sua mente.

“Ho mangiato uva e foglie di viti per tre mesi. Avevo una fame immensa e il terrore di essere trovato. Soltanto la forza di un ventenne e la speranza di arrivare a casa…

E poi mi sono ritrovato di fronte il Po. Dovevo attraversarlo. Sono stato fermo qualche giorno aspettando qualcosa. E poi è arrivato. Non ho  neanche avuto il tempo di ringraziarlo. Mi ha salvato la vita e io non l’ho neanche ringraziato. Pazzesche le circostanze del nostro mondo.

Lui era un pescatore ed era arrivato lì con la sua barca. Mi disse che mi avrebbe portato dall’altra parte. Dovevo solo mettermi sotto la sua barca. Avrei fatto la traversata sott’acqua. Tirando fuori la testa quando dovevo respirare. Ci mettemmo un giorno. Solo la forza di un ventenne e la speranza di arrivare a casa…”

Smette per un attimo di parlare. Ha bisogno di un momento di pausa. Seduto sulla carrozzina, tiene sempre i piedi poggiati a terra e, con le pantofole che anche mio nonno portava, si spinge verso il pianoforte suonando qualche nota distrattamente.

C’è un’aria surreale. Un presente che stona, invaso dal passato che improvvisamente ha fatto irruzione in questa stanza, con tutta la sua resistenza e la sua pesantezza.

Mentre tento, con fatica, di figurarmi davanti agli occhi l’azione estrema di un uomo attaccato con tutte le sue forze al fondo di una barca, ecco che, strisciando le pantofole, quest’uomo torna da me e, con gli occhi per lui insolitamente umidi, riprende a raccontare.

“E poi sono arrivato in un paesino appena fuori Vicenza. Dopo tre mesi di viaggio ero lì. Non volevo correre rischi ora che quasi c’ero. Bastava che incontrassi un tedesco e tutto sarebbe stato inutile. Allora stetti per due giorni nascosto in un fienile. E poi, una mattina, un contadino mi riconobbe. Era un amico di famiglia. Mi disse che mi avrebbe portato lui dai miei genitori. Loro si trovavano in un grande capannone, insieme a tutti gli altri genitori. Nessuno sapeva niente dei propri figli. Stavano lì e aspettavano. Pregando di veder arrivare il proprio figlio. Aspettavano e pregavano. Uniti dalla stessa speranza.”

Ed è con voce tremante e gli occhi appannati che mi racconta il momento in cui ha fatto il suo tanto atteso ingresso nel capannone. E nelle sue lacrime riesco a vedere la gioia di suo padre quando lo scorse e quando si abbracciarono; e la madre, incredula, come stordita, che non riusciva più a reggersi in piedi.

                                                                                                                                                                                             Milagroso...


7 commenti:

  1. Certe cose fanno più di altre.. come la speranza..

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    1. Hai proprio ragione.. Sicuramente tiene vivi.. Senza speranza è tutto un po' più difficile..

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    2. con coraggio e....speranza un pezzettino al giorno

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  2. primo pensiero: un inedito -hip hip urrà!!! secondo pensiero: bello! brava! terzo pensiero: ora sei tu che devi spingere la loro carrozzina, portarli nella tua stanzetta di to e dargli degli "ordini" o proposte a seconda...e ti senti anche un pò superiore dall'alto della tua divisa e dei tuoi zoccoli colorati...e poi arriva e ti regala un pezzo della sua vita, poteva farne a meno e invece ha deciso di regalarlo a te...e tu pensi cavoli io al posto suo in quel fiume ci rimanevo secca...lui no.

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    1. Sicuramente.. Fa pensare che le persone che abbiamo davanti -e che spesso ci dimentichiamo di vedere come persone, ma solo come pazienti- hanno fatto cose, alla nostra età, che noi non saremmo assolutamente in grado di fare.. O che, in ogni caso, neanche abbiamo il coraggio di provare..
      Brava socia.

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  3. Brava socia t.o. di lele. Lele, l'avrò letto 4 o5 gg fà qst racconto.. lo sto ancora elaborando. Penso a quante storie ognuno di noi può avere da raccontare a chi ha voglia di ascoltarle. Ai nonni che ce le raccontavano e che ci sembrava di saperle ormai a memoria.., ma quanto le vorrei riascoltare ora con altre orecchie, più attente.
    E penso anche che per noi i tempi della guerra sono veramente lontani, superati, che fanno storia. Ma in tante parti del mondo sono attualissimi, e chissà quanti giovani ci saranno ora "sotto una barca"..??
    Grazie a qst signor "vecchietto" che ha voluto condividere con te un pezzo della sua storia, e grazie anche a te che raccogli tutti questi frammenti, ne fai tesoro e ce li porti. ...chissà, forse a lui farebbe piacere conoscere questi apprezzamenti..??

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    1. Non credo che i tempi della guerra per noi siano così lontani. Credo ci siano altri tipi di guerre. E forse altri tipi di barche. Senza dubbio differenti, senza dubbio meno devastanti e distruttivi; ma a loro modo guerre e barche.

      ;)

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