E’ notte. Qualcuno dorme,
qualcuno è sceso in paese. Io sono a fare due passi. Sono qui, ad appoggiare i
miei piedi negli stessi piedi che avevo a quindici anni. Ricerco proprio le
stesse impronte, la stessa forza con cui il piede spingeva sulla salita, la
stessa inclinazione della pianta, lo stesso ritmo. Mentre intanto il freddo
pungente, che c’è sempre a Bosco di notte, mi riscalda dentro.
Arrivo al muretto, guardo Verona
illuminata, mi commuovo per l’ennesima volta di fronte a questo quadro,
invidiandolo perché lui è riuscito là dove io non ce l’ho fatta. E’ sempre
stato più bravo di me a farci rimanere senza parole, ma sempre pensavo che
prima o poi, cambiando, crescendo, diventando grande ci sarei riuscita anche
io, avrei capito come faceva lui a far rimanere lo spettatore a bocca aperta. E
invece lo capisco oggi qual è la sua vittoria.
Mi fermo ad ammirare. Cerco di
non avere pensieri in testa, non ne ho voglia. Ho voglia solo di stare qui in
piedi a guardare questo film: la città dell’amore sullo sfondo e in primo piano
dei baci appena nati, dei segreti confidati, delle cattiverie sfogate, dei
pianti raccolti, delle promesse fatte. Non ne avevo idea, ma mi sono accorta
che avevo tutte le immagini con me e guardando laggiù qualcuno ha schiacciato
play.
Guardo in alto e, fedele come
ogni volta, c’è questo cielo diverso da tutti gli altri, con quelle
costellazioni che tanto avrei voluto scoprire per il mio compleanno, e, come
quella volta, vedo una stella cadente, che forse è un satellite, ma poco
importa, gli occhi li chiudo lo stesso e oggi il desiderio si avvera.
Sono improvvisamente più
piccolina, più bella, più sorridente. Sono improvvisamente più felice.
In questo nuovo corpo riprendo la
mia passeggiata vivendo le immagini che prima solo guardavo e non sentendo più
quel freddo che mi accarezzava durante la discesa, perché ora accanto a me c’è
qualcuno.
E non importa chi sia, non
importa se è il mio ragazzo o se la mia migliore amica o l’ennesima persona che
mi aveva posto la fatidica domanda: “Dopo parliamo?”; non importa cosa ci stessimo
confidando, su cosa stessimo ridendo, quale stupida incomprensione cercassimo
di risolvere. Importa che non stavo camminando da sola. Che su quella strada
ero accompagnata, affiancata, sorretta.
Non importa neanche quale storia
stessi raccontando o stessi ascoltando, quale consiglio stessi ricevendo o
stessi regalando, quale scelta stessi reputando giusta o sbagliata; non importa
per cosa stessi piangendo o per cosa stessi consolando. Importa che qualsiasi
cosa stessi facendo, la stavo facendo come se il mio mondo fosse solo lì in
quel momento, come se quella fosse la cosa più importante e io dovessi farla
nel migliore dei modi. Perché quella era la mia vita. Il mio mondo in quel
momento eravamo noi due e quello che stava succedendo. E l’altra caratteristica
che rimpiango è che l’altra persona in quel momento provava le stesse cose. Un
po’ è la magia di Bosco. Un po’ è la magia di quell’età.
Quando non hai grandi pretese,
quando tutto quello che ti serve ce l’hai a portata di mano, quando ancora
credi nelle cose belle e quello che conosci ti basta. Quando non ti importa di
chi va in Grecia o chi si sposa o chi aspetta un figlio, perché tu sei felice
così. Camminando per questa strada di Bosco. Quando sei una persona buona,
quando ancora non sei affaticato dalle giornate, dalle persone che incontri,
quando ancora scopri quella luce negli occhi di chi guardi che ti guarda.
Quando per una minuscola cosa il
tuo mondo crollava, si distruggeva in mille pezzi e mai avresti potuto
recuperarli! E con la stessa facilità con cui era caduto, qualcuno te lo
rimetteva in piedi in un secondo.
Sono qui, che continuo la mia
salita per arrivare alla villa e andarmene a letto, non più sola, ma
accompagnata, e di ogni passo mi godo la mia felicità, contenta perché sto
camminando con qualcuno. E, ancora di più, ad ogni passo mi godo la felicità di
chi cammina con me, contento perché sta camminando con me.
E dò una spiegazione alla
vittoria di quel quadro: lui non è diventato più grande.